La domanda sembra semplice, eppure non lo è. Pietro Morello, nella sua filastrocca virale “Definisci bambino”, ci ricorda che non si tratta di un concetto astratto ma di immagini concrete: un bambino è chi gioca, chi sogna, chi cade e si rialza. È chi ride con leggerezza e chi cerca protezione con lo sguardo. Ma allora, davvero, cosa significa essere bambino?
Essere bambino significa avere diritto al gioco, alla fantasia, alla spensieratezza. Non basta nutrirlo e vestirlo: occorre dargli spazio per crescere, per immaginare, per scoprire il mondo con occhi pieni di meraviglia. Un bambino è fragile ma anche straordinariamente resiliente. È un cuore che batte con innocenza e che chiede solo di poter vivere la propria età.
Se l’infanzia è gioco e scoperta, l’adolescenza è ricerca e cambiamento. È il momento in cui si smette di guardare il mondo solo con stupore e si comincia a interrogarsi. L’adolescente non chiede soltanto protezione: chiede ascolto, rispetto, la possibilità di sbagliare e di imparare. È una fase delicata che richiede presenza, non imposizioni; fiducia, non soltanto regole.
Ci sono luoghi, purtroppo, dove essere bambino significa crescere troppo in fretta. Non vogliamo fare discorsi politici, ma non possiamo ignorare che in contesti segnati dalla guerra, come Gaza, i diritti più elementari vengono negati: il diritto al gioco, all’istruzione, alla serenità. Un bambino che vive in queste condizioni non perde solo la spensieratezza: perde la possibilità di vivere appieno la propria età.
Ogni bambino, in qualunque parte del mondo, ha il diritto di indossare non solo vestiti che lo proteggano, ma anche sogni che lo rendano libero. Garantire infanzia e adolescenza piene significa creare un futuro migliore per tutti. Se un bambino può crescere in sicurezza, con dignità e possibilità di esprimersi, allora sarà un adulto capace di costruire ponti e non muri.
Qualcuno potrebbe obiettare che la realtà è complessa e che, in alcuni luoghi, i bambini non possono avere gli stessi diritti. Ma questa è una resa inaccettabile: il valore di un bambino non è negoziabile. Non possiamo considerare un’infanzia “meno degna” di un’altra. Accettare ciò significherebbe rinunciare all’umanità stessa.
Riprendendo la filastrocca di Morello, possiamo dire che un bambino non si definisce attraverso guerre, confini o statistiche. Si definisce attraverso i suoi sogni, il suo gioco, la sua dignità. Per questo, anche come negozio di abbigliamento, il nostro compito non è solo offrire capi di qualità, ma ricordare che ogni vestito che scegliamo porta con sé un messaggio: proteggere la fragilità, custodire i sogni, valorizzare la bellezza dell’infanzia e dell’adolescenza. uniscilo in un discroso unico